Morningstar Investor - Settembre/Ottobre 2011 - (Page 22)
Fisco
Una manovra necessaria
Di Giorgio Arfaras
Un bilancio pubblico fuori controllo richiede un aumento delle imposte. Ma se lo stato non va in default, il risparmio è salvo.
La manovra di correzione del bilancio pubblico italiano è sostanzialmente decisa – e condivisa con l’opposizione - come entità, ma non è ancora stata definita con precisione nella sua composizione. La discussione è in corso al Parlamento e dovrebbe concludersi prima della fine di settembre. L’entità della manovra è stata studiata per portare il bilancio dello stato in pareggio in un paio d’anni. E questa è stata la parte facile della decisione. Quanti e quali tagli alle spese e quanti e quali incrementi delle imposte sono, appunto, ancora in discussione. E questa è la parte difficile. Una manovra da 130 miliardi Per quel che finora si sa – da qui al 2014, l’imposta per il deposito titoli dovrebbe accrescere le entrate per un totale di 8 miliardi di euro, mentre l’imposta per le rendite finanziarie dovrebbe incrementarle per un totale 5 miliardi di euro. Il totale cumulato è di 13 miliardi di euro in quattro anni. Esso va messo in rapporto con un totale cumulato di oltre ottanta miliardi di euro di maggiori entrate. Ossia, un importo pari al 15% delle maggiori entrate su quattro anni. Le minori spese – sempre cumulate su quattro anni – ammontano a cinquanta miliardi di euro. La manovra – come somma di entrate e uscite – è perciò di 130 miliardi di euro. Non essendo finora emersa – nei propositi della maggioranza di governo – il tema della patrimoniale,
l’impatto delle imposte sul risparmio è pari, alla fine, al 10% della manovra (13 su 130). Trattandosi di un numero non modesto, ma neppure enorme, la domanda da porsi è se la manovra aiuta o penalizza il risparmio. Si può fare un ragionamento “per assurdo”, come nella geometria euclidea. Un bilancio pubblico fuori controllo alla fine spinge ad aumentare parecchio le imposte per frenarlo. Le famiglie pagano più tasse – il loro reddito netto si riduce – e quindi se vogliono mantenere lo stesso tenore di vita, debbono risparmiare di meno. Un bilancio pubblico salvato, alla lunga non comprime il risparmio. Per salvarlo si tassa inizialmente il risparmio, ma, alla fine, lo si salva. E si salva anche l’attività finanziaria maggiore dove il risparmio si riversa – ossia il debito pubblico. L’inflazione non è più un’arma Dopo le due guerre il gran debito pubblico in Italia fu ridotto con due ondate di inflazione. Lo stato certo rendeva il controvalore dei titoli del debito al valore facciale – quindi con un ammontare che era una frazione di quello all’emissione, mentre le sue entrate erano in moneta corrente. Non si avevano imposte, come si hanno oggi, ma si aveva una “spogliazione” monetaria. E’ perciò meglio pagare – come avviene oggi -
le imposte per essere sicuri del valore del proprio patrimonio investito in titoli del Tesoro, che rifiutare le imposte per finire di pagarle sotto forma di inflazione. Inflazione che sarebbe peraltro impossibile da creare, visto che la banca centrale non è più a Roma, ma a Francoforte. K
Giorgio Arfaras è presidente di SCM Sim.
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