Morningstar Investor - Settembre/Ottobre 2011 - (Page 24)
Asset Allocation
Rischio sistemico, è più alto se tutti investono nello stesso modo
Di Rocco Ciciretti e Raffaele Corvino
Uno studio dell’Università di Tor Vergata analizza i comportamenti dei gestori dal 2001 all’ultima crisi. Con conclusioni controcorrente
L’ultima crisi finanziaria ha drammaticamente evidenziato i potenziali pericoli collegati al cosiddetto rischio sistemico, costringendo autorità, istituzioni finanziarie, centri di analisi e ricerca accademica a confrontarsi con questa minaccia per il funzionamento stesso dei mercati finanziari. Nella letteratura economica come nell’analisi professionale esistono differenti visioni rispetto alla nozione di rischio sistemico. Da un lato il rischio sistemico viene visto come la possibilità di un crollo simultaneo dei mercati e degli asset finanziari, provocato da un evento sistemico che colpisce quindi simultaneamente tutti gli agenti del sistema; dall’altro il rischio sistemico viene associato al pericolo di un effetto-domino attraverso cui una crisi originatasi in uno dei mercati (o in una delle istituzioni) si trasmette ad un altro mercato/istituzione tramite esposizioni comuni o legami economici. L’obiettivo dello studio L’analisi svolta ha cercato di definire una potenziale fonte, tra le altre, di rischio sistemico, e quindi una particolare origine di crisi sistemica, su due livelli sequenziali: il primo riferito alla strategia di diversificazione del portafoglio; il secondo definito come grado di omogeneità/eterogeneità degli agenti in termini di composizione del portafoglio. Si è quindi portato in evidenza le differenze
possibili tra diversificazione eterogenea e diversificazione omogenea cercando di legare le più ampie possibilità di scelta degli agenti (nei mercati e tra strumenti) con l’evidenza empirica di un’omogeneizzazione dei comportamenti per quanto riguarda le scelte di investimento. L’idea del progetto di studio si fonda quindi sull’ipotesi che la diversificazione effettuata dagli agenti economici e dalle istituzioni finanziarie abbia reso gli stessi sempre più omogenei tra loro e abbia pertanto innalzato il livello di rischio sistemico. In altre parole, gli agenti, nel diversificare, non hanno sfruttato le ampie possibilità date dal maggior numero di mercati di sbocco e dalle diverse tipologie di strumenti a disposizione in ogni singolo mercato (diversificazione eterogenea), bensì hanno generato un rischio comune a tutti portafogli (diversificazione omogenea). Considerando le diverse definizioni di rischio sistemico è chiaro che all’aumentare del grado di omogeneità (o di “somiglianza”) degli agenti di mercato, cresce la probabilità che un evento colpisca tutti gli investitori nello stesso modo. Ciò che invece è meno intuitivo, e per alcuni versi del tutto contro intuitivo e contraddittorio rispetto ai luoghi comuni degli studi sulla finanza, è come la diversificazione di portafoglio possa diventare causa o fattore di accrescimento (e non di mitigazione) del rischio finanziario.
In altre parole la diversificazione omogenea nel ridurre il rischio specifico di portafoglio, o rischio idiosincratico (per definizione eliminabile grazie ad un’opportuna diversificazione del portafoglio), ha contemporaneamente aumentato il rischio di collasso dell’intero sistema. Questa potrebbe essere una delle possibili spiegazioni di ciò che è avvenuto in occasione dell’ultima crisi. L’univero di analisi La ricerca analizza un campione di fondi d’investimento bilanciati (americani ed europei) per studiare l’impatto della strategia di diversificazione di questi fondi sia sul rischio di portafoglio (ovvero, il rischio relativo al singolo fondo) sia sul rischio sistemico. Il periodo di riferimento va dal novembre 2001 al dicembre 2010. Il primo (rischio di portafoglio) può essere considerato la risultante di due distinte componenti: la parte sistematica, che deriva dalla relazione che sussiste tra i rendimenti del singolo portafoglio (o fondo) e i rendimenti dell’indice di mercato (a tal proposito, occorre sempre individuare un adeguato indice di mercato a cui riferirsi a seconda del tipo di investimenti su cui si effettua la relativa valutazione della componente sistematica); la parte idiosincratica, che dipende invece da fattori specifici del portafoglio e rappresenta quella frazione di rischio non spiegata da fattori di mercato. Per stimare la parte sistematica si fa riferimento al c.d. fattore Beta,
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Morningstar Investor Settembre/Ottobre 2011
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