Morningstar Investor - Novembre/Dicembre 2012 - (Page 8)

Per Cominciare Chi sta sulla frontiera Di Valerio Baselli Sono paesi con un Pil pro-capite basso e un mercato azionario poco sviluppato, ma hanno le carte per essere gli emergenti di domani. È difficile trovare una definizione univoca e universalmente accettata di mercato di frontiera, così come di mercato emergente. Ci si dovrebbe basare sul grado di sviluppo dell’economia reale oppure sul livello di liquidità e trasparenza dei circuiti ufficiali di negoziazione delle azioni? Morningstar si basa sulla prima ipotesi, seguendo la metodologia della Banca mondiale, la quale, per classificare un paese, considera lo sviluppo economico, in particolare il Prodotto interno lordo pro-capite. Gli emergenti di domani Anche se non esiste una definizione standard, ci sono delle caratteristiche comuni. I mercati di frontiera possono essere descritti come quei mercati che pur condividendo le interessanti prospettive di crescita a lungo termine dei paesi emergenti, tendono ad avere uno stadio di sviluppo ancora iniziale. Sono generalmente caratterizzati da un forte incremento demografico, un basso costo del lavoro, un’abbondante manodopera, una scarsità infrastrutturale e una forte espansione economica. Il termine “mercati di frontiera” è stato coniato dall’International Finance Corporation (IFC) nel 1981, allo scopo di dare a questi mercati un nome più attraente. Precedentemente venivano identificati con diverse, e spesso poco lusinghiere, denominazioni, come “paesi poveri”o “paesi sottosviluppati”. All’epoca, gli investitori più coraggiosi hanno puntato su queste nazioni, che erano ai primi stadi di sviluppo, aspettandosi da essi una crescita economica rapida come risultato dell’adozione di politiche orientate al mercato e alla globalizzazione. Perciò, i primi a credere su queste aree sono stati in grado di investire in società con valutazioni molto attrattive, in quanto poco conosciute dalla comunità finanziaria, le quali hanno aumentato enormemente il proprio valore. Pensiamo al percorso dei mercati emergenti degli ultimi dieci o quindici anni. Giganti come Brasile o Russia venivano considerati a inizio millennio come destinazioni esotiche. Eppure, i paesi Bric (acronimo coniato nel 2002 da Jim O’Neill, presidente di Goldman Sachs, che indica i quattro principali mercati emergenti: Brasile, Russia, India e Cina) sono quelli che hanno regalato le maggiori soddisfazioni nell’ultimo decennio. Ebbene, questi paesi, che oggi consideriamo un gradino sotto quelli sviluppati, erano allora considerati “di frontiera”. Dove sono I mercati di frontiera sono sparsi in tutti i continenti. In Asia vi rientrano, tra gli altri, il Vietnam, la Thailandia, la Corea, il Bangladesh, l’Indonesia, le Filippine e il Pakistan. In Africa sono compresi in questo gruppo la Nigeria, l’Egitto, il Kenya e il Ghana. Anche in Europa si trovano mercati di questo tipo, come l’Ucraina, la Bulgaria, la Romania o la Croazia. Senza dimenticare l’America latina, con Messico, Colombia, Cile e Argentina. È comunque una scommessa L’universo dei mercati di frontiera è tipicamente più piccolo e meno liquido rispetto a quello dei mercati emergenti, ma comunque è abbastanza ampio da generare un interesse significativo da parte degli investitori. In queste aree ci sono aziende solide che possono contare su un buon management e su prospettive di crescita abbastanza stabili, ad un prezzo decisamente inferiore rispetto ai mercati più conosciuti. Certo, dare per scontato che paesi come il Vietnam o la Nigeria possano ricalcare lo stesso percorso di Cina e Brasile è una scommessa non da poco. I rischi, infatti, sono dietro l’angolo. I mercati di frontiera non sono liquidi come gli emergenti, quindi vendere una grossa quantità di azioni (a dire il vero anche una piccola quantità) durante un ribasso potrebbe risultare assai difficile, se non impossibile. Inoltre, la mancanza di regolamentazione adeguata potrebbe causare problemi. Secondo i dati di Credit Suisse, i cinque maggiori mercati di frontiera per capitalizzazione sono gli Emirati Arabi Uniti (104 miliardi di dollari), il Qatar (102 miliardi), il Kuwait (100 miliardi), l’Argentina (49 miliardi) e la Nigeria (41 miliardi). Tuttavia, anche queste aree risultano sottodimensionate se paragonate ai 992 miliardi di capitalizzazione della Borsa svizzera; per non parlare dei 13 mila miliardi di dollari della Borsa statunitense. E non è solo un problema che riguarda i circuiti di negoziazione azionaria. Le loro economie sono più esposte agli shock economici esterni e le loro istituzioni politiche sono normalmente meno stabili. K Valerio Baselli è editor di Morningstar Italy 8 Morningstar Investor Novembre / Dicembre 2012

Tabella dei contenuti per la edizione digitale del Morningstar Investor - Novembre/Dicembre 2012

Morningstar Investor Novembre/Dicembre 2012
Attualità
Rubriche
Hanno scritto per noi
L'Editoriale
Chi sta sulla frontiera
Il numero magico è 1,2 miliardi
Acrobazie sulle dune africane
Medio oriente incompreso
La piccola frontiera europea
Chi bussa all'Asia emergente
Le mine vaganti
Il caro prezzo dei terremoti
Un'obbligazione contro le catastrofi
Se l'emigrante fa bene al Pil
Sviluppo oltre le etichette
Un pizzico di nuovo riduce il rischio
Borse, i big delle commodity vanno all'estero
Il fondo esploratore è giovane
Etf a confronto: Msci Corea
Gli strumenti Morningstar

Morningstar Investor - Novembre/Dicembre 2012

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