Morningstar Investor - Aprile/Maggio/Giugno 2013 - (Page 22)
In Primo Piano
Focus Germania: la rinascita nell’Ue
Di Azzurra Zaglio
Riunificazione tedesca e integrazione in Eurolandia
hanno caratterizzato la storia degli ultimi 50 anni.
La crisi del debito è ora la principale minaccia.
La crisi del debito e finanziaria rappresentano
il rischio principale per l’economia tedesca.
Lo ha dichiarato il 12 marzo 2013 Jens
Weidmann, presidente della Bundesbank,
presentando il bollettino annuale. Weidmann
ha rimarcato che la crisi non è ancora terminata nonostante il rally dei mercati finanziari.
D’altra parte, i Bund (titoli di stato tedeschi)
rimangono un porto sicuro per gli investitori.
La storia della Germania degli ultimi decenni
non può essere scissa da quella dell’Unione
europea, di cui è uno dei principali sostenitori.
È la quarta potenza economica dopo Stati
Uniti, Cina e Giappone; è la quarta più grande
economia in termini di Pil (Prodotto interno
lordo) nominale e la quinta in termini di parità
di potere d’acquisto. È, inoltre, il secondo più
grande paese esportatore dopo la Cina. La
“locomotiva d’Europa”, tuttavia, non è stata
esente dalle crisi economiche e finanziarie che
hanno colpito i mercati internazionali dalla fine
del 2001. La congiuntura ha subito una battuta
d’arresto tra il 2002 e il 2003 e successivamente nel 2009 e nel 2012.
Il momento cruciale per la moderna storia tedesca è la riunificazione, non solo per
gli equilibri geopolitici, ma anche dal
punto di vista della riconversione produttiva,
dell’ampliamento del mercato interno, del
controllo della disoccupazione e dei flussi
migratori. Il processo non è stato semplice
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e avrebbe potuto far collassare il paese, ma
la Germania è riuscita a gestirlo, uscendone
più forte. Si è trattato, infatti, di assorbire
nell’economia più avanzata dell’Europa del
Novecento una zona territoriale estesa tanto
quanto un intero stato, con un reddito pari a
circa la metà di quello dell’ovest, un ritardo
tecnologico e industriale di anni, infrastrutture e sistema creditizio insufficienti, nonché
un sistema monetario da rifare. Fu scelta la
via dell’indebitamento statale, piuttosto che
quella della pressione fiscale sui cittadini, e
di un massiccio investimento da parte delle
aziende dell’ovest. A sostenere lo sforzo
hanno avuto un ruolo determinante il capitale
finanziario (sia da parte del sistema interno,
sia proveniente dall’estero), ma soprattutto
l’abilità con cui la Germania ha saputo ricavare dalla caduta del blocco comunista e dalla
nascita di nuove nazioni nell’Europa orientale
nuove possibilità di espansione economica.
Tuttavia, la riunificazione non è stata indolore e ha provocato un repentino aumento
dell’inflazione, dopo anni di tassi modesti,
mentre il finanziamento pubblico per la riconversione dell’est ha allargato il disavanzo del
bilancio statale. La Germania, tuttavia, non ha
voluto perdere l’appuntamento con la moneta
unica ed è corsa ai ripari. Durante l’ultima
decade del Novecento la Germania si finanziava sui mercati a tassi attorno al 5% circa
e la bilancia commerciale (la differenza tra
import ed export) presentava saldi negativi con
un outflow di capitale (e quindi di ricchezza)
verso l’esterno. Nonostante questo, a causa
della debolezza cronica delle altre monete, tra
cui la lira italiana e, soprattutto, la sterlina
britannica, il marco tedesco veniva recepito
dai mercati come moneta “forte” e questo
comprometteva la competitività delle aziende
all’estero.
Ecco quindi perché la Germania, in affanno,
ha chiesto e voluto con tutte le sue forze
l’unione monetaria. Agli economisti e politici
tedeschi era molto chiaro che il disegno
dell’euro avrebbe portato solo vantaggi. Dal
1999, anno del debutto della nuova moneta
sui mercati finanziari, le cose sono cambiate.
Principalmente perché l’euro era meno forte
rispetto al marco tedesco, poiché espressione
anche di economie di paesi più deboli, quali
Italia, Belgio, Spagna e Portogallo. Ciò ha
favorito la Germania che ha potuto aumentare
le esportazioni a prezzi più competitivi. Basta
riprendere i dati della bilancia commerciale
tedesca per verificarne gli effetti: da un saldo
negativo di 32,55 miliardi di euro nel 1997, a
un saldo positivo di 40,58 miliardi nel 1999
e addirittura 127,85 nel 2001. Un forte flusso
di denaro estero che si è riversato nel paese,
favorendo una crescita tecnologica e di competenze e finanziando lo sviluppo. K
Azzurra Zaglio è editor di Morningstar Italy
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